Racconti Erotici > lesbo > L'amica speciale -4-
lesbo

L'amica speciale -4-


di QualcheTrasgressione
17.12.2024    |    1.022    |    3 9.7
"Appena entrata chiuse la porta a chiave..."

La mattina a scuola, durante la prima ora riuscii ad uscire dalla classe e incontrai la mia amica in bagno. Tra risa e battute ci chiudemmo in uno dei gabinetti,  lei coi pantaloni calati fino alle ginocchia, appoggiata al muro, sporse il culo in fuori. Come il giorno prima le chiesi di aiutare con una mano e si tirò una chiappa per esporre l'ano. Misi una goccia di crema sulla pelle arrossata e mi unsi la punta del medio, poi lo appoggiai sul l'ingresso raggrinzito e spinsi piano. Di nuovo quella sensazione di cedevolezza e il dito venne avviluppato. Lo spinsi fino alla seconda falange poi feci per tirarlo fuori ma lo rinfilai. Il respiro di lei tradiva il silenzio.
«Male?»
«Sollievo» rispose con un respiro profondo.
Mossi il dito, girandolo ma poi finii per fare avanti e indietro. Mi piaceva quella intimità anche se non sapevo bene perché.
A me piacciono i ragazzi, amo il cazzo, questi erano i miei pensieri mentre affondavo il medio nel deretano della mia amica. Erano pensieri che contrastavano con quel leggero piacere che sentivo crescermi dentro.
Feci per togliere il dito, quasi costringendomi a smettere, e lei mi chiese se potessi metterne ancora, perché fino a sera, era lunga. Il pensiero di andare da lei la sera per mettere altra crema mi eccitò la mente.
Non obiettai, misi un gocciolone sul dito e lo rimisi dentro. Lei gemette tra le labbra chiuse e ripresi a massaggiarle la pelle tenera e incandescente, morbida e viscida che mi stritolava il dito. Mi resi conto che lo stavo muovendo dentro e fuori come se la stessi scopando.
Di nuovo chiesi se le stessi facendo male, dato che aveva gli occhi chiusi e si mordeva il labbro inferiore.
«No, sollievo» mugolò lasciandomi interdetta. Era davvero solo sollievo? Dopo averla vista scopare con mio padre, un po' mi intendevo di come esternasse il suo godimento e, quei mugolii, quelle espressioni... Erano così simili a quei momenti con lui.
Sentivo il dito stretto dalla sua carne, quasi trattenuto e non potei non pensare a cosa doveva aver sentito mio padre.
Quel risucchio sul dito mi causava scintille di piacere, ebbi pensieri lascivi e io la stavo penetrando solo con il dito: chissà cosa provava lui penetrandola con il cazzo.
Quel pensiero mi donò una scossa all'intimità. Una voglia azzardata mi attraversò la mente ma la repressi ricordando soprattutto in che luogo eravamo, il bagno della scuola. Mi resi conto di essere fuori da troppo tempo e immediatamente sfilai il dito.
Lei non disse nulla, si rivestì e tornammo nelle nostre classi.
In classe restai a guardare il dito, accorgendomi di non essermi nemmeno lavata le mani. Lo strinsi nel palmo dell'altra e cercai di ricreare quella sensazione di costrizione. Non c'era alcun paragone ma mi piacque: spinsi il dito in quell' anfratto caldo e stretto e lo mossi come avrei voluto fare in quel bagno. L'attrito mi diede una leggera scarica di piacere ma subito districai le mani: di nuovo non ero nel luogo adatto. Cercai di riprendere coscienza di quanto mi stava attorno, cercando la riga sul libro, cercando di ricollegarmi alla lezione, ma tra le gambe sentii la vagina inumidirsi.

Andai da lei nel tardo pomeriggio, la trovai in camera. Appena entrata chiuse la porta a chiave.
«Devo vedere lui, mi serve un motivo per uscire, puoi coprirmi?»
«Non fartelo mettere nel culo» dissi fingendomi preoccupata. In realtà mi scoprii gelosa di quel suo ingresso, come se ora che c'ero entrata io lui non avesse più diritto di farlo. Ma subito il pensiero mutò.
Nella mia testa, l'immagine del cazzo che affondava nella sua carne dolorante, mi eccitò.
«No, no. È un incontro di poco, non c'è il tempo per...»
«Il dolore, non il tempo. Questo dovrebbe importarti!» mi costrinsi a dire anche se bramavo la sua sofferenza.
«Mi puoi coprire?»
Mi chiedeva di mentire ai suoi, per poter uscire e incontrare mio padre e scopare con lui. Avrei dovuto essere contraria invece ero eccitata.
Dicemmo a sua madre che veniva da me a prendere un libro e andammo a casa mia.
Le diedi un libro che mise nello zaino e, vedendo  il tubetto di crema, ci ricordammo quella mancanza.
«Oggi salta, magari la metto da sola dopo, ora devo andare.»
Provai ad insistere ma non ci fu verso.
«E se vengo dopo, da te? Con la scusa del libro?» Presi delle fotocopie e gliele diedi «dici che hai fatto delle fotocopie perché il libro serve anche a me per domani.»
Con un largo sorriso se ne andò.
Avrei voluto seguirla ma temevo di essere scoperta: se avevano poco tempo, probabilmente li avrei raggiunti che avevano già finito e rischiavo di farmi beccare. Strano come temessi io di essere scoperta, io che in fondo non facevo nulla di che.
Dopo poco più di mezz'ora mi incamminai e sulla via incontrai mio padre. Accostò e mi chiese dove stessi andando. Vidi un mezzo sorriso quando sentì il nome della mia amica, e si offri di accompagnarmi. Salita sul furgone non potei non chiedermi dove avessero scopato: lì dov'ero seduta io, nel vano dietro o sul posto di guida? Guardai mio padre che guidava e vidi la mia amica arrampicata sopra di lui. Senza pantaloni, con la maglia arrotolata sopra le tette, uno dei suoi piccoli seni nella bocca di lui, mentre lo montava forsennata, con il suo cazzo sprofondato nella fica.
Fu un'immagine quasi reale e sentii un pizzicorio tra le gambe. Guardai le mani di mio padre, le dita strette al volante. Erano grosse... Chissà che piacere le davano quando la masturbava. Mi chiesi se gliele avesse infilate nel culo mentre scopavano. Poi ebbi l'immagine di lui che veniva... Le bestemmie e il cazzo dritto e duro, la cappella grossa che usciva dalla fornace della mia amica. Lo vidi viscido, ricoperto degli umori della mia amica.
Mi scoprii desiderosa di qualcosa, senza sapere bene cosa, ancora sentivo repulsione ad immaginare succedesse qualcosa tra noi due. Non era lui che desideravo, anche se l'immagine del suo cazzo era un tarlo che mi perforava il cervello.
Mi lasciò davanti al suo cancello e gli dissi che sarei tornata a piedi. Sentivo il bisogno di stargli lontana.

Mi accolse in camera, era ancora vestita per l'appuntamento. Si spogliò davanti a me, cercai di guardare attorno per non sembrare allupata anche se, in realtà, ogni movimento mi dava un pizzicorio tra le gambe.
Si mise carponi con solo la canottiera addosso. Non portava il reggiseno anche se sapevo che lo indossava anche se aveva solo una prima. Stavo per chiedere quando si aprì le chiappe con le mani. Presi il tubetto dal comodino e feci per avvicinarmi.
Gli occhi mi caddero sulla fessura verticale della fica che in quella posa era molto esposta. Era senza peli, lucida, arrossata.
Aveva scopato. Misi una goccia di crema sul dito e lo avvicinai all'ano per assolvere ai miei doveri. Spalmai un poco poi spinsi, prima poco, poi un po' di più ed ecco quella sensazione di risucchio, il dito stretto dalla carne tenera. Eccitata, mi sentii  intontita e spinsi il dito ben oltre la seconda falange. La mia amica gemette piano senza però dire nulla. Quel gemito mi svegliò e lo ritrassi un poco ma vidi qualcosa che mi mandò nuovamente in pappa il cervello. Dalla fica qualcosa stava uscendo. Un liquido vischioso. Erano i suoi umori? Aveva appena scopato, magari era venuta più volte e ora... Raccolsi la goccia con il pollice senza toccarla, sfiorandola appena.
Le tolsi il dito e, veloce, mi portai alla bocca il pollice, quasi inconsciamente ma mi resi subito conto che non era quello che avevo pensato.
La consapevolezza di aver assaggiato la sborra di mio padre mi fece schifo, quella fu la prova tangibile che non era lui che bramavo.
Un nuovo gocciolone si ripresentò sulla soglia delle sue valve e di nuovo lo raccolsi ma stavolta con il medio e sprofondai con quello nel suo buco. Non fui gentile e lei gemette e la sua carne avviluppò il mio dito.
«Ti fa male?»
«No» disse ancora con un gemito e mi venne davvero il sospetto che le piacesse più del dovuto.
«Vuoi che ti metto altra crema o pensi che può bastare?» Per quanto ne sapeva lei le avevo già spalmato due dosi di crema, quindi, abbastanza.
«Mettine un altro po'» la sua risposta combaciò con la fuoriuscita di altro sperma.
Tolsi il dito e finsi di spremere crema, la mia intenzione era di servirmi della sborra di mio padre, ancora, invece decisi di infilarle il dito così com'era, quasi privo di lubrificazione.
Sentii la costrizione da subito. Probabilmente la dose di crema era stata subito assorbita o forse era colpa dello sperma? Non mi importava, spinsi il dito e lei si lamentò, stavolta non le chiesi se stesse soffrendo.
Spinsi ben oltre la seconda falange poi lo ritrassi, mossi la punta come se stessi spalmando la crema. La vidi mordere le lenzuola e iniziai a muoverlo dentro e fuori anche se non scivolava bene come la mattina.
Guardai il gocciolone di sborra tendersi oltre le labbra e lo raccolsi con il pollice.
«Metto altra crema, sento attrito»
«Sì, poca però.»
Le piaceva quella sensazione? Tolsi il dito ma lo bagnai solo con la sborra densa e lo spinsi di nuovo dentro.
Di nuovo gemette e, oltre alla solita sensazione di avviluppo, sentii chiaramente stringere i tessuti del buco, in modo volontario. La puttana voleva sentire per bene il mio dito?
Lo spinsi dentro tutto facendole sentire le altre dita contro il sedere. Sentii il suo interno aprirsi e poi richiudersi. Mossi dentro e fuori leggermente e lei si accomodò meglio sul letto, aprendo di più le ginocchia e sporgendo il culo.
Che troia, pensai.
«Dimmi se ti faccio male, ok?»
Di risposta fece un verso.
Era chiaro le piacesse e mi venne il dubbio volesse continuare magari fino ad avere un orgasmo? Volevo la certezza, volevo lo ammettesse ma non lo avrebbe mai fatto, non di sua iniziativa. Continuai a muovere il dito, ormai senza preoccuparmi di mascherare l'invasione con la terapia della crema, era un dentro e fuori a dito duro, veloce e lei accompagnava i miei movimenti con gemiti sommessi.
Sentivo umido dentro era come se si fosse bagnata e questa cosa non la credevo possibile. Stava godendo davvero?
In quel momento desiderai avere il cazzo, glielo avrei spinto dentro con forza, solo per farle male, per punirla.
Si era scopata mio padre meno di un'ora prima e ora aveva il mio dito nel culo e stava godendo?
«Non lo hai preso nel culo vero?»
Scosse la testa.
«Ti è mancato?»
Voltò la testa per potermi guardare e la sua espressione mi fece tenerezza anche se la situazione era inverosimile.
«Ti metto ancora un po' di crema» dissi, tolsi il dito è misi una grossa goccia sulla punta. Il mio sguardo cadde sul suo ingresso e lo vidi boccheggiare. Una scossa nacque bella mia intimità e di nuovo desiderai avere l'uccello: oh, dio... L'avrei scopata per ore, per giorni all'insaputa di tutti. Nella mia fantasia sarei rimasta con tutte le fattezze di una ragazza ma munita di cazzo per poter scopare la mia amica. Ma vedevo un sesso brutale tra noi, l'avrei scopata per farla gridare. Aveva il buco rosso e leggermente gonfio e dentro lo avevo sentito incandescente e altrettanto gonfio, e sapevo che era per colpa di mio padre. Probabilmente il piacere di provocare un po' di dolore era di famiglia, forse un tratto ereditario.
Avvicinai il medio, massaggiai l'ingresso ma al momento di spingerlo dentro, si aggiunse anche l'indice. Li spinsi dentro entrambi e lei si lamentò senza dire però nulla, gemendo alla fine. Ruotai le dita e lei si allargò le natiche con entrambe le mani.
Avrei voluto sentirle dire qualcosa, incitarmi magari come l'avevo sentita fare con mio padre, ma non disse nulla.
Non era più una terapia, il secondo dito l'aveva trasformato in altro. Mi spinsi dentro per poi subito ritrarmi e poi ancora e ancora.
Il suo buco si adattò subito alla diversa invasione, mi si strinse contro morbido e viscido. La mia amica subì senza dire nulla, godendo a denti stretti. Smisi di muovere le dita solo quando la sentii arcuarsi e il suo respiro farsi pesante. Per tutto il tempo il suo buco si era avviluppato attorno alle mie dita, quasi risucchiandole. Ora lo sentivo palpitare. Le sfilai dolcemente e le massaggiai il buco per qualche secondo. Ero in cerca di parole ma l'unica voce che sentii fu quella di sua madre che mi avvertiva dell'ora.
Il tempo di voltarmi verso la porta e la mia amica si era già rivestita. Mi salutò come nulla fosse successo, mandandomi in crisi.

Per tutta la sera, a casa, fui sul punto di chiamarla, ma non era un argomento da trattare al telefono. Andai a letto nervosa e restai a rigirarmi sul materasso a lungo, finché non mi arresi, portai la mano tra le gambe e iniziai a masturbarmi, dapprima lenta poi nella mia mente figurai il culo tenuto in alto dalla mia amica e un cazzo largo che la penetrava e le mie dita divennero impetuose. Venni ricordando le sue grida, quel pomeriggio che mio padre l'aveva costretta a quel rapporto violento.
Dopo l'orgasmo potente, crollai.

Il giorno dopo, sul pullman, disse che il dolore si stava attenuando e disse che non aveva bisogno di quell'incontro in bagno. Ovviamente io lo presi come un rifiuto e ci restai male. Il pomeriggio dovevo restare a scuola mentre lei sarebbe tornata a casa.
Al mio rientro la chiamai, speranzosa bisognasse il mio aiuto almeno per la sera.
Mi rispose la madre e io attaccai subito, temendo di farle saltare la copertura.
Era buio fitto, mancava solo un'ora all'ora di cena ma uscii lo stesso.
Trovai il furgone di mio padre parcheggiato sulla via sterrata, lontano dai lampioni, in prossimità di una ditta ormai chiusa a quell'ora. Era il solo mezzo presente, non avevo modo di avvicinarmi ma restai a distanza, nascosta dietro ad un palo di cemento accanto al muro di cinta, in una zona d'ombra, sperando non arrivasse nessuno che potesse illuminarmi e svelare la mia presenza. Nel silenzio sentivo il mezzo cigolare: non li potevo vedere ma ero certa fossero nel retro a scopare. Dopo un tempo che mi sembrò infinito sentii scattare il portellone dietro, vidi mio padre, aveva i pantaloni aperti, scese accanto alla rete e urinò.
«Vedi di muoverti che devo andare a casa.»
Sentii dei rumori e poi scese lei, la mia amica. Nella penombra vidi che lo raggiunse da dietro e lo abbracciò.
«Mi sei venuto dentro anche oggi. E se resto incinta?»
«Ti scopo con il pancione»
«Seee e a mio padre cosa dici?»
«Io nulla, mica vuoi mettermi nei guai? Passi tu per puttana, lo sai»
«Mio padre mi ammazza.»
«Lo sai come la penso: o prendi la pillola o ti fai venire nel culo. Il preservativo non riesco a tenerlo fino alla fine» si lamentò lui serio.
Poi salirono sul furgone e si allontanarono dalla parte opposta.

Tornai a casa con mille pensieri e sul cancello venni illuminata dai fari di mio padre. Dissi di essere passata dalla mia amica: sapevamo entrambi non era vero ma non poteva di certo contraddirmi né chiedermi altro.

La sera, dopocena, lei mi chiamò e mi chiese se il giorno dopo potevo passare per metterle la crema.
Fu così che iniziai ad andare da lei, nel tardo pomeriggio, un paio di volte la settimana, a masturbarla nel culo.
Lei parlava della crema ma io sapevo cosa voleva. Per settimane non lo dicemmo apertamente, non parlammo minimamente di quegli orgasmi che le procuravo scopandole il culo con le dita, finché un giorno non trovai il buco rosso e gonfio e quando infilai le dita trovai una sorpresa densa e bianca.
















Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.7
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per L'amica speciale -4-:

Altri Racconti Erotici in lesbo:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni